Da qualche decennio il Cammino di Santiago è diventato una delle mete preferite da giovani e anziani di ogni parte del globo, lungo le cui vie si sono avventurati con lo zaino in spalla, utilizzando le proprie vacanze, o sottraendo del tempo prezioso al proprio lavoro e ai propri affetti. Sulla scia di questa riscoperta, anche i cammini che conducono a Roma, a Gerusalemme e a tanti altri limina Apostolorum o sanctorum, si sono moltiplicati negli ultimi anni. Del frutto dello sforzo fisico, ma anche mentale e spirituale dei viandanti a noi contemporanei, ne conosciamo normalmente solo la corteccia, vale a dire una esteriorità, molto spesso ostentata, che affolla blog e social di post entusiasti, accompagnati da un imponente corredo fotografico, dai quali sprizzano entusiasmo, gioia e sofferenza fisica, conditi da una forte dose di emotività. Ma ciò che si cela dietro le lacrime e i sorrisi profusi nei lunghi reportage nei quali ci si imbatte quotidianamente nella rete, rimane un grande mistero nascosto e custodito nel cuore di chi riesce a condividere solo alcuni momenti del proprio viaggio, senza mai riuscire a raccontarlo pienamente.

Per quale motivo? Per pudore, o forse per l’assenza di un linguaggio che sappia definire oggi con la dovuta proprietà le esperienze interiori di ogni uomo, soffocate dalla superficialità fuggente che tutto pervade? O per tanti altri motivi ancora?

Esiste, è vero, anche una miriade di diari di viaggio, nei quali i moderni pellegrini, motivati da una sete di conoscenza non necessariamente religiosa o spirituale, ci fanno partecipi dei loro giorni consacrati a questa avventura. Ma anche qui i ricordi sono quasi sempre epidermici, e si risolvono in una sorta di resoconti di luoghi, di aneddoti, che raccontano di una inaspettata gioia vissuta, senza che ne riusciamo però a sentire il profumo, la ragione profonda e la regione profonda dalla quale questa è scaturita, come da un’invisibile sorgente di montagna. Ci sono certamente delle rare e lodevoli eccezione nelle quali lo scrivente mette a nudo la propria anima, liberandola dalla sfera emotiva che, come nebbia fitta, ne nasconde la bellezza. Ma spesso anche ciò non è sufficiente, se il racconto del proprio pellegrinaggio viene riportato in forma meramente autobiografica, senza cioè venire innestato in una storia millenaria, scritta da un numero infinito di pellegrini che si sono diretti in tempi e contesti tanto diversi tra loro, verso la stessa Meta, facendosi portatori con il loro passaggio di una cultura che, seminata in terre lontane, sarebbe diventata in seguito dominante nei borghi e nei villaggi di tutta la Cristianità, i cui abitanti quel vissuto conoscevano solo di riflesso; senza cioè la consapevolezza che ogni esperienza è come la tessera di un domino senza fine, il cui disegno è visibile solo in piccola misura a chi ne è protagonista, in quanto attraversa dimensioni inaccessibili ad uno sguardo puramente umano, necessariamente limitato dai confini sensoriali dello spazio e del tempo.

Arca Edizioni intende proporre dei testi che possano essere di riferimento orientativo su queste tematiche, degli hitos, come vengono definiti in Spagna i luoghi più sacri del pellegrinaggio compostellano, attraverso i quali rileggere e rivivere una storia che ha radici lontane. Non ci saranno solo i classici, dal Codex Calixtinus alla letteratura odeporica che spazia dal Medioevo al Rinascimento, ma anche nuove suggestioni contemporanee che allargano lo sguardo fino ai nostri giorni, con sensibilità necessariamente diverse, ma unite dalla medesima tensione ideale a quella di chi si è recato nei secoli scorsi a videre Jacobum, nella consapevolezza che stava compiendo un viaggio di natura umana e divina al tempo stesso.

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